rubrica settimanale di agricoltura,
ambiente ed economia.

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L’ibis sacro, originario dell’Egitto, ormai è di casa in Emilia Romagna è oggetto di monitoraggio

ibis

Stefano Bussolari, già Commissario Polizia locale città metropolitana di Bologna

La recente e massiccia comparsa dell’ibis sacro (Threskiornis aethiopicus) nel Nord-Italia potrebbe essere riconducibile a soggetti liberatisi dalla cattività. Alcune fonti attendibili sostengono che, circa quaranta anni fa, alcuni individui fuggirono da parchi zoologici e da giardini privati francesi e successivamente si sarebbero riprodotti con successo, dando vita a popolazioni stabili esterne alle strutture. Alcuni soggetti facenti parte di questi gruppi sarebbero poi arrivati per irradiamento sul vicino territorio italiano. Altri, invece, ritengono che possano essere scappati direttamente da zoo o da allevatori privati italiani che pure erano presenti tra Piemonte (vercellese) e Lombardia. In ogni caso si tratta di animali “aufughi” sfuggiti dalla cattività e adattatisi all’ambiente esterno, come spesso succede per le specie esotiche. 

È originario dell’Egitto, dove per secoli è stato considerato sacro, ma non per questo protetto in senso assoluto, in quanto veniva sovente sacrificato in omaggio agli Dei per scongiurare le ricorrenti epidemie di peste. Era considerato il simbolo di Thot, dio dell’intelligenza, della luna, della saggezza, misuratore del tempo, inventore della scrittura, dei numeri e rappresentato anche con un ibis nel suo geroglifico. 

Attualmente è presente in Mesopotamia e nell’Africa sub-sahariana, ma ormai estinto nell’Egitto stesso. Per contro, l’ibis sacro è ormai assiduamente presente sia nelle valli e risaie d’Oltrepò sia in zone umide e aree ripariali, ma anche agricole, dell’Emilia Romagna. Infatti, oltre che nel delta del Po, lo si può intercettare in prossimità di “maceri”, canali di bonifica, fossati e campi coltivati a nord della via Emilia. 

Benché gli impatti da ibis sugli ecosistemi in genere siano ancora poco noti sembrerebbero rari se non quasi nulli gli asporti trofici diretti su colture agrarie di pieno campo, fatto salvo il fattore meccanico; cioè il danno potenzialmente arrecato dal calpestio e dal sondaggio della parte più superficiale del terreno agrario che l’ibis pone in essere col becco per la ricerca ed il procacciarsi della entomofauna quando staziona su appezzamenti coltivati. Consideriamo che l’ibis adulto può raggiungere il peso di 1,5 Kg. 

Il mondo agricolo deve tuttavia monitorare eventuali danni su giovani piante erbacee investite a seminativo, specialmente in fase di emergenza post-semina che durante la ricerca in genere di invertebrati, gli ibis possano compromettere con danni da rovesciamento o scalzamento indiretto. L’ibis sacro è un uccello di valle con dimensioni ragguardevoli: l’apertura alare è di circa 110-120 cm, con il capo e il collo calvi, di colore nero; gli individui adulti raggiungono generalmente una lunghezza di 65-70 centimetri. 

Il becco è ricurvo, lungo e rivolto verso il basso, è anch’esso di colore nero, così come le zampe. Il piumaggio di questa specie, è fondamentalmente bianco ad eccezione delle terziarie e delle estremità delle remiganti primarie e secondarie che sono invece neri con riflessi violacei. Gli occhi sono marroni con anello orbitale rosso scuro ed i sessi sono molto simili, mentre i giovani presentano un piumaggio bianco sporco, un becco più piccolo e alcune piume brunastre sul collo, penne scapolari bruno-verdastre e copritrici primarie più nere. Di solito è silenzioso, ma occasionalmente emette rumori striduli. In volo tiene il collo allungato in avanti e le zampe slanciate (modalità simile alla cicogna bianca). In volo si può notare la sotto ala di un bianco meno intenso rispetto a quello del piumaggio. La deposizione di 3-4 uova avviene tra marzo e settembre. La longevità accertata in natura può oltrepassare i 20 anni. 

L’ibis sacro è una specie gregaria e molto socievole, che si lascia facilmente osservare a coppie o a piccoli gruppi. Questo pellicaniforme può nidificare in colonie comprendenti fino a centinaia di coppie, spesso in compagnia di altre specie come gli aironi. Il raggrupparsi in grandi numeri è una probabile strategia che riduce i rischi della predazione che può subire in particolare da parte di corvidi e rapaci. Nidifica negli alberi e negli arbusti in prossimità di zone stagnanti, ma anche a terra se ha disponibilità di ripari. 

Attraverso la marcatura con contrassegni colorati Ispra ha visto che gli ibis sono in grado di compiere movimenti diretti che li portano a raggiungere nuovi siti, ma anche pendolarismi tra località distanti centinaia di km seguendo la disponibilità stagionale di risorse alimentari. Si tratta di una specie considerata onnivora e opportunista anche se, di fatto, si nutre prevalentemente di piccoli vertebrati, d’invertebrati, anellidi, crostacei, molluschi, pesci, anfibi, rettili, piccoli mammiferi (toporagni e topi campagnoli), nonché uova e pulcini di altre specie. Si nutre pure di carogne e rifiuti non correttamente smaltiti dall’uomo. Cerca il cibo sondando il terreno e le acque palustri con la punta morbida e sensibile del becco, dotato di microscopici sensori tattili che gli permettono di insidiare le prede che vengono catturare con movimenti rapidi anche senza essere viste direttamente. Spesso si riunisce in formazione durante la ricerca del cibo, unendo le forze per una strategia di ricerca più efficace e per non lasciare troppe vie di fuga alle potenziali prede. 

Nonostante la sua dieta preponderante sia carnivora non si può escludere a priori che si nutra, per una piccola quota parte, di vegetali, in genere semi o alghe. 

Attraverso le Organizzazioni Professionali e in costante contatto con i tecnici dei Servizi Territoriali Agricoltura Caccia e Pesca della Regione, si dovranno fornire informazioni e dati per dimensionare il tema dei possibili impatti, alla luce peraltro di possibili interventi preventivi. Infatti, nei bandi periodici che la Regione mette a disposizione nei Piani di Sviluppo Rurale, potrebbero trovarsi presidi di prevenzione utili (detonatori, sagome, “distress call”, scaccini acustici e quant’altro la tecnologia ci metterà a disposizione). 

Il comparto del settore primario che nei limiti potrebbe avere le maggiori ripercussioni, e quindi anch’esso da attenzionare, potrebbe essere quello della piscicoltura e degli allevamenti ittici o di mitili in acque interne o marine. Come conseguenza delle sue attività di alimentazione, l’ibis potrebbe, infatti, causare danni alle attività di allevamento di pesci e molluschi. In questo caso il danno oltre che diretto, potrebbe essere sanitario per la possibile funzione di vettore di trasmissibilità di problematiche sanitarie; in questo caso sarà fondamentale il costante supporto sia con i Servizi Veterinari pubblici sia con Ispra. 

Va detto anche che nella dieta hanno pure il Gambero della Louisiana; in questo senso gli ibis possono rappresentare un elemento di controllo naturale contro un’altra specie invasiva d’interesse unionale il cui controllo risulta altrettanto problematico e difficile. Inoltre, in primavera-estate gli ibis si nutrono, tra l’altro, di larve di insetti, anche dannosi per l’agricoltura. Il settore agricolo deve fare i conti con specie invasive ben più problematiche, mentre pare in maggiore apprensione il mondo della conservazione essendo infatti l’ibis un predatore di uova e pulcini di varie altre specie di uccelli autoctoni, come sterne, garzette, anatre, uccelli marini e uccelli di palude. Inoltre, potrebbe competere per i siti di nidificazione con altri uccelli.

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